CRM e organizzazione aziendale

Il CRM deve prevedere la diffusione di un’impostazione di tipo culturale, in grado di indirizzare verso la miglior gestione dei processi aziendali. Rafforziamo il concetto: non si tratta solo di implementare una tecnologia. Partendo dal presupposto che l’adozione di un sistema CRM richiede una forte volontà di cambiamento sul piano di scelta di politica, sociale e organizzazioni aziendale.

È facile immaginare che si possa  sviluppare una resistenza interna perché di solito il CRM permette di operare trasversalmente alle unità aziendali o funzionali autonome alle quali non si richiede solitamente di collaborare l’una con le altre. All’interno di un sistema CRM, i dati che vengono generati in un’unità vengono indifferentemente usati in un’altra.

La resistenza organizzativa all’adozione di un sistema CRM è quasi inevitabile. I problemi organizzativi che di solito le aziende si trovano ad affrontare per implementare il  CRM sono i seguenti:

  • Il CRM può ridurre il contributo di una singola unità aziendale, anche se a beneficiarne è l’intera azienda.
  • I sistemi d’incentivazione devono essere organizzati anche in funzione del CRM, riconoscendo a tutti gli attori e le business unit in gioco;
  • Il CRM richiede una transizione dall’infrastruttura esistente un’infrastruttura integrata incentrata sul cliente. Spesso le aziende hanno realizzato, acquisito o ereditato un’ampia varietà di applicazioni per la gestione dei clienti e delle altre funzioni aziendali spesso molto verticalizzati o specializzati sulle singole Business Unit con l’inevitabile difficoltà di condivisione;
  • La crescente ricerca di nuove opportunità ha portato molte aziende ad espandersi in mercati diversi da quello italiano questo comporta che debbono essere gestite le operazioni con i clienti in lingue, fusi orari, valute e ambiti normativi diversi. In un ambito di questo genere è difficile offrire un servizio personalizzato e coerente mediante processi non standardizzati e non gestiti mediante un sistema CRM.

Il CRM ha un chiaro impatto sulla forma dell’organizzazione e sui ruoli svolti dai collaboratori. Tale impatto è particolarmente evidente sulla front-line dell’azienda, il punto critico nel quale il processo e il cliente entrano in contatto. Tutte le imprese dovrebbero riconoscere che l’efficacia dei processi del CRM dipende dallo stretto collegamento esistente tra le attività di front-office e di back office, quali lo sviluppo dei prodotti, la programmazione strategica e i processi finanziari. L’obiettivo da perseguire consiste nel facilitare il compito del front-office e del back office nella gestione del cliente, della produzione e soprattutto per ascoltare le esigenze del cliente ed utilizzarle per ottimizzare i processi ed ovviamente acquisire nuove opportunità.

Scegliere un prodotto CRM oggi è più semplice del passato ed allo stesso tempo più complesso, più semplice perché fino a pochi anni fa chi voleva uno strumento tecnologico doveva farselo sviluppare da società informatiche sulle proprie esigenze e se queste si modificavano nel tempo si doveva intervenire sul sistema con costi elevati, oggi ci sono molti strumenti basati su tecnologia open source che possono essere opportunamente configurati e customizzati per coprire la maggior parte delle esigenze delle aziende. È più complesso perché è difficile trovare, tra i tanti esistenti lo strumenti che meglio si adatta alle proprie esigenze.

In ogni caso l’adozione di uno strumento è fallimentare se non accompagnato da una opportuna analisi e una revisione dei processi e delle procedure interne.

Fonte “Redazione PMI.it”

La bella Italia

“Gli storici del futuro probabilmente guarderanno all’Italia come un caso perfetto di un Paese che è riuscito a passare da una condizione di nazione prospera e leader industriale in soli vent’anni in una condizione di desertificazione economica, di incapacità di gestione demografica, di rampate terzomondializzazione, di caduta verticale della produzione culturale e di un completo caos politico istituzionale. Lo scenario di un serio crollo delle finanze dello Stato italiano sta crescendo, con i ricavi dalla tassazione diretta diminuiti del 7% in luglio, un rapporto deficit/Pil maggiore del 3% e un debito pubblico ben al di sopra del 130%. Peggiorerà.
In effetti, non è impossibile per un’economia che ha perso circa l’8 % del suo PIL avere uno o più trimestri in territorio positivo. Chiamare un (forse) +0,3% di aumento annuo “ripresa” è una distorsione semantica, considerando il disastro economico degli ultimi cinque anni. Più corretto sarebbe parlare di una transizione da una grave recessione a una sorta di stagnazione.
Il 15% del settore manifatturiero in Italia, prima della crisi il più grande in Europa dopo la Germania, è stato distrutto e circa 32.000 aziende sono scomparse. Questo dato da solo dimostra l’immensa quantità di danni irreparabili che il Paese subisce. Questa situazione ha le sue radici nella cultura politica enormemente degradata dell’élite del Paese, che, negli ultimi decenni, ha negoziato e firmato numerosi accordi e trattati internazionali, senza mai considerare il reale interesse economico del Paese e senza alcuna pianificazione significativa del futuro della nazione. L’Italia non avrebbe potuto affrontare l’ultima ondata di globalizzazione in condizioni peggiori. La leadership del Paese non ha mai riconosciuto che l’apertura indiscriminata di prodotti industriali a basso costo dell’Asia avrebbe distrutto industrie una volta leader in Italia negli stessi settori. Ha firmato i trattati sull’Euro promettendo ai partner europei riforme mai attuate, ma impegnandosi in politiche di austerità. Ha firmato il regolamento di Dublino sui confini dell’UE sapendo perfettamente che l’Italia non è neanche lontanamente in grado (come dimostra il continuo afflusso di immigrati clandestini a Lampedusa e gli inevitabili incidenti mortali) di pattugliare e proteggere i suoi confini. Di conseguenza , l’Italia si è rinchiusa in una rete di strutture giuridiche che rendono la scomparsa completa della nazione certa.
L’Italia ha attualmente il livello di tassazione sulle imprese più alto dell’UE e uno dei più alti al mondo. Questo insieme a un mix fatale di terribile gestione finanziaria, infrastrutture inadeguate, corruzione onnipresente, burocrazia inefficiente, il sistema di giustizia più lento e inaffidabile d’Europa, sta spingendo tutti gli imprenditori fuori dal Paese . Non solo verso destinazioni che offrono lavoratori a basso costo, come in Oriente o in Asia meridionale: un grande flusso di aziende italiane si riversa nella vicina Svizzera e in Austria dove, nonostante i costi relativamente elevati di lavoro, le aziende troveranno un vero e proprio Stato a collaborare con loro, anziché a sabotarli. A un recente evento organizzato dalla città svizzera di Chiasso per illustrare le opportunità di investimento nel Canton Ticino hanno partecipato ben 250 imprenditori italiani.
La scomparsa dell’Italia in quanto nazione industriale si riflette anche nel livello senza precedenti di fuga di cervelli con decine di migliaia di giovani ricercatori, scienziati, tecnici che emigrano in Germania, Francia, Gran Bretagna, Scandinavia, così come in Nord America e Asia orientale. Coloro che producono valore, insieme alla maggior parte delle persone istruite è in partenza, pensa di andar via, o vorrebbe emigrare. L’Italia è diventato un luogo di saccheggio demografico per gli altri Paesi più organizzati che hanno l’opportunità di attrarre facilmente lavoratori altamente, addestrati a spese dello Stato italiano, offrendo loro prospettive economiche ragionevoli che non potranno mai avere in Italia.
L’Italia è entrata in un periodo di anomalia costituzionale. Perché i politici di partito hanno portato il Paese ad un quasi – collasso nel 2011, un evento che avrebbe avuto gravi conseguenze a livello globale. Il Paese è stato essenzialmente governato da tecnocrati provenienti dall’ufficio del Presidente Repubblica, i burocrati di diversi ministeri chiave e la Banca d’Italia. Il loro compito è quello di garantire la stabilità in Italia nei confronti dell’UE e dei mercati finanziari a qualsiasi costo e con un interventismo onnipresente e costituzionalmente  del Presidente della Repubblica , che ha esteso i suoi poteri ben oltre i confini dell’ordine repubblicano. L’interventismo del Presidente è particolarmente evidente nella creazione del governo Monti e del governo Letta, che sono entrambi espressione diretta del Quirinale. Sarebbe facile sostenere che Monti ha aggravato la già grave recessione. Letta sta seguendo esattamente lo stesso percorso: tutto deve essere sacrificato in nome della stabilità. I tecnocrati condividono le stesse origini culturali dei partiti politici e, in simbiosi con loro, sono riusciti ad elevarsi alle loro posizioni attuali: è quindi inutile pensare che otterranno risultati migliori, dal momento che non sono neppure in grado di avere una visione a lungo termine per il Paese. Sono in realtà i garanti della scomparsa dell’Italia.
In conclusione, la rapidità del declino è davvero mozzafiato. Continuando su questa strada, in meno di una generazione non rimarrà nulla dell’Italia nazione industriale moderna. Entro un altro decennio, o giù di lì, intere regioni, come la Sardegna o Liguria, saranno così demograficamente compromesse che non potranno mai più recuperare. I fondatori dello Stato italiano 152 anni fa avevano combattuto, addirittura fino alla morte, per portare l’Italia a quella posizione centrale di potenza culturale ed economica all’interno del mondo occidentale, che il Paese aveva occupato solo nel tardo Medio Evo e nel Rinascimento. Quel progetto ora è fallito, insieme con l’idea di avere una qualche ambizione politica significativa e il messianico (inutile) intento universalista di salvare il mondo, anche a spese della propria comunità. A meno di un miracolo, possono volerci secoli per ricostruire l’Italia.”
Roberto Orsi, London School of Economics

Stipula di un contratto di lavoro a progetto: il Vademecum

Uploaded : slide01Come redigere un testo conforme alla normativa, senza il rischio di una trasformazione in assunzione subordinata a tempo indeterminato.

 Per stipulare un contratto di lavoro a progettodopo l’entrata in vigore del Decreto n. 76/2013 convertito in Legge 99/2013 – è necessaria la forma scritta e l’indicazione di durata, corrispettivo, forme di coordinamento e misure di sicurezza; diversamente scatta la trasformazione della collaborazione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, che scatta anche se manca la connessione del progetto al conseguimento di un risultato finale (che non può consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale dell’impresa committente né in compiti meramente ripetitivi).

La Riforma del Lavoro ha in pratica introdotto modifiche rispetto alla Legge Biagi, disincentivando l’utilizzo improprio di questo strumento e prevedendo contributi più onerosi.

Contenuti del contratto

  • durata della prestazione di lavoro;
  • descrizione del progetto, suo contenuto caratterizzante e risultato finale che si intende conseguire;
  • corrispettivo e criteri per la sua determinazione, tempi e modalità di pagamento, disciplina dei rimborsi spese;
  •  forme di coordinamento tra lavoratore e committente sulla prestazione che, in ogni caso, non possono pregiudicare l’autonomia nell’esecuzione lavorativa;
  • misure per la tutela della salute e sicurezza del collaboratore. Continua a leggere